«Bambini, aprite i vostri quaderni e copiate dalla lavagna».
Tutti, nei loro grembiulini appena stirati e infiocchettati di azzurro, obbedirono. "Lentini lì, 27 Settembre 1972". Le pagine frusciarono e le penne si misero in movimento per tutti loro, o quasi. Effe Effe, invece, cominciò a sudare. "Lentini lì, etc...". La sua penna si fece pesante, la presa impossibile. No, non ci riusciva! Continuava inesorabile a piantarsi su quella maledetta riga, su quella "L" così arzigogolata. Infinè si ribellò. Posò la penna, incrociò le braccia e serrò le labbra al mondo. Scrivere non era cosa per lui, affatto.
«Non voglio scrivere!», urlò alla classe.
La maestra, dall'alto dei suoi tacchi, si scandalizzò, si arrabbiò, lo prese a sonori ceffoni davanti a tutti. Infine, non ottenendo nulla, convocò i genitori.
«Sa, dobbiamo aiutare questo bambino», disse all'incredulo padre, «... ha dei problemi, forse in una classe meno dotata... più alla sua portata...».
Colpito da ciò che quella tentava di dire, conscio di come il figlio avesse sempre mostrato una non comune precocità e proprietà di linguaggio imparando a parlare, quel padre non ebbe la forza di reagire alla rivelazione. Tuttavia, paziente, si sedette di fronte al figlio e gli chiese soltanto di spiegare il disagio.
«Papà, io non so scrivere la data... non la voglio scrivere».
«Ho capito».
«Vede?», disse rivolto all'altra, «basta fargli scrivere le paginette con le letterine».
«Ma no, signore! Non si può, devo seguire la maggioranza della classe io e non posso curarmi di un solo alunno...».
E bla... bla... bla... scuse a gogò. Dovetti seguire delle lezioni private. Giorni e giorni a scrivere paginette di "a", "e", "g" per superare il blocco e recuperare il gap con il resto della classe. Se non l'avete ancora capito, questa è la storia di come ho imparato a scrivere.
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