martedì 17 maggio 2016

ARETUSA JAMMIN #2 - GIUDECCA, ORTIGIA E LA COMUNITA' EBRAICA

(Aretusa Jammin - scheda del romanzo: IBSMondadoriUnilibroFeltrinelli)

Via della Giudecca oggi
Basta, non è più possibile rinviare il consueto appuntamento con la rubrica #AretusaJammin. Come sapete, in questa serie di articoli visitiamo virtualmente i luoghi reali in cui ho ambientato il mio ultimo romanzo: Aretusa Jammin.
Chi ha già letto il romanzo sa che la storia si svolge quasi esclusivamente nell'isoletta di Ortigia, il centro storico di Siracusa. Oggi voglio parlarvi di un luogo speciale (uno dei tanti di Ortigia, in effetti), in cui si svolge una scena importante verso la fine del romanzo.
Il quartiere della Giudecca, d'altra parte, può essere considerato per storia e tradizione come un piccolo villaggio all'interno di una città. Fin dal primo secolo dopo Cristo, infatti, ha ospitato la popolosissima comunità ebraica di Siracusa. Non molti sanno che, fino all'anno della loro cacciata da parte dei sovrani spagnoli (avvenuta nel 1492), gli ebrei costituirono una componente molto importante di Siracusa. Arrivarono a rappresentare in certi momenti storici addirittura un terzo della popolazione siracusana.

Via della Giudecca nell'Ottocento
Parliamo, dunque, della comunità ebraica più popolosa della Sicilia dopo quella di Palermo. La presenza ebraica a Siracusa, dicevamo, è documentata già in epoca romana contando nei suoi ranghi numerosi e ricchi mercanti e banchieri. Questa presenza, conservatasi anche in epoca bizantina, era stata integrata durante la dominazione araba da famiglie di sefarditi emigrati dal Nordafrica, dove prima dell'Islam diverse tribù berbere s'erano convertite all'ebraismo.

Benché la presenza ebraica a Siracusa preceda la data in cui tutti gli ebrei dei paesi cattolici furono rinchiusi obbligatoriamente nei ghetti (cioè, a partire dal 1555), la maggior parte di questa popolazione preferiva riunirsi comunque, di loro volontà, in quartieri ebraici. Lo si faceva esclusivamente per ragioni pratiche e affettive, oltre che di comprensibile autoprotezione. Un po' come è accaduto poi in epoca moderna con la nascita di quartieri italiani, quartieri cinesi e così via. I quartieri abitati dagli ebrei si chiamarono in Italia Giudecca, quella di Siracusa (che in dialetto locale si chiama Jureca) s'articolava intorno alla strada principale che porta ancora oggi il nome di "Via della Giudecca". Qui sorgevano non solo le abitazioni, ma anche le sedi istituzionali della comunità: la sinagoga, le scuole, le macellerie e panetterie kosher e insomma tutto quanto era al servizio della comunità intera.
Molti edifici erano costruiti attorno ad un cortile al centro del quale, secondo un uso antico, una palma e un albero di agrumi, che in alcuni casi sono sopravvissuti fino ad oggi. Le botteghe si aprivano lungo la via, mentre le abitazioni vere e proprie stavano al piano superiore. La catastrofe del 1492 costrinse la comunità a scegliere fra la conversione forzata al cattolicesimo, o la svendita dei beni entro tre mesi e la partenza. Coloro che rimasero divennero "cristiani novelli".

Bagno rituale scoperto in Ortigia
La ricchezza della comunità era percepibile esteriormente dai palazzi, anche se la ricostruzione del quartiere dopo le distruzioni causate dal terremoto del 1693 gli ha dato una spiccata impronta barocca che ben poco ormai lascia trasparire, per lo meno sulle facciate delle case, del periodo ebraico. In realtà molti palazzi apparentemente moderni hanno semplicemente inglobato le strutture del periodo ebraico che erano sopravvissute al terremoto, come stanno rivelando a poco a poco i lavori di restauro che hanno investito anche questa zona di Ortigia. Grazie a questi lavori le scoperte (e le sorprese) non sono mancate. La più clamorosa è quella della Mikvah o Mikweh (bagno rituale ebraico).

Le scoperte recenti hanno inoltre permesso di localizzare lo spazio occupato dalla sinagoga (che in passato era identificato con quello della chiesa di San Filippo apostolo) nella chiesa di San Giovanni Battista (San Giovannello), che fu non a caso trasformata nella chiesa della comunità dei neo-battezzati rimasti in loco.
Alla prossima!

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