“Che la ’ntricata foresta dintra alla quali lui e Livia si erano vinuti ad attrovari, senza sapiri né pircome né pirchì, fosse virgini non c’era nisciun dubbio pirchì ’na decina di metri narrè avivano viduto un cartello di ligno ’nchiovato al tronco di un àrbolo supra il quali ci stava scrivuto con littre marchiate a foco : foresta vergine. Parivano Adamo ed Eva in quanto erano tutti e dù completamenti nudi e si cummigliavano le cosiddette vrigogne, le quali, a pinsarici bono, non avivano nenti di vrigognoso, con le classiche foglie di fico che si erano accattate da ’na bancarella all’entrata a un euro l’una ed erano fatte di plastica. Siccome erano rigide, davano tanticchia di fastiddio. Ma quello che cchiù fastiddiava era il caminare a pedi nudi.”
Trama:
Tutto parte da un sogno che snuda le ipocrisie del mito dell’Eden. Montalbano e Livia si ritrovano infatti nella luminosissima, pittorica, foresta dell’Eden (riconoscono il luogo grazie a un cartello inciso a fuoco). Sono nudi ovviamente, ma indossano delle foglie di fico in plastica. Tutto, l’armonia, la quiete, la serenità dell’Eden, è descritta come una finzione pittorica. Non appartiene a nessun luogo reale. Perfino la delicatezza del canto di un uccello del paradiso saltato giù dai rami dipinti si rivela come un semplice fischiettare di un garbato vagabondo che intona II cielo in una stanza, con “alberi infiniti”, imponendosi sul fracasso di un temporale. Svegliato così in pieno temporale, Montalbano è chiamato ad occuparsi dell’ennesimo delitto. Il ragioniere Cosimo Barletta, sciupafemmine compulsivo e strozzino, è stato trovato morto, ucciso due volte: con un colpo di pistola alla nuca e, prima ancora, avvelenato. In sostanza, due delitti con un solo cadavere; due assassini che, indipendentemente l’uno dall’altro, uccidono la stessa vittima. Quasi senza volerlo, Montalbano indaga sui segreti impenetrabili di una famiglia e sui misteri di una comunità. Sui rapporti di sangue e quelli di affinità.
“Mimì senti…”
“Ah, Salvo ti ho cercato in ufficio ma Catarella mi ha detto…”
“Mimì, la scatolina…”
“Appunto per questo ti ho chiamato. Ti volevo dire che mi sono ricordato d’avere messo la scatolina nel primo cassetto dell’armuàr, sotto le camicie. Non volevo lasciarla troppo in evidenza”
Recensione:
Stavolta qualcosa non torna nel conto dell’amico Salvuccio. Il maestro Camilleri ci propone un manoscritto del 2008 rimasto nel cassetto per vicissitudini editoriali. La pubblicazione tardiva rimane a mio avviso poco spiegabile ai lettori, visto che nulla aggiunge alla saga e al personaggio. Inutile nasconderlo, il nuovo Montalbano mi è sembrato quasi un flashback. Un salto all’indietro nella continuity, insomma, reso esplicito anche dallo stesso autore nella postilla da lui scritta al libro.
Anzitutto la cosa ci fa riflettere: siamo forse giunti alla fine? Il maestro Camilleri ha esaurito le potenzialità del personaggio e raschia il fondo?
Di certo il fascino del commissario rimane intatto ma tende a farsi ripetitivo. Al di là dell’indubbia validità letteraria del nuovo romanzo, la storia dopotutto è un po’ scontata. Nella scarsa presenza di colpi di scena, l’indagine sembra più un pretesto che il reale obbiettivo del libro.
Sembrano scarsi anche i simpatici siparietti ironici a cui oramai eravamo abituati. La costante del romanzo, anzi, sembra più il discoprimento di una realtà orribile e cruda sotto la patina di quieta normalità.
Non mi sento di dire che si tratti di un Montalbano minore, solo stavolta non pienamente convincente. Perso fra riflessioni e analisi etico/morali non del tutto credibili all’occhio del lettore e anche al mio personale.
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